“Se dovessi dire se è meglio il posto di lavoro fisso o il posto di lavoro mobile dico che è meglio il posto fisso. Io non credo che la mobilità sia di per sè un valore per una struttura come la nostra.” – Giulio Tremonti, Ministro dell’Economia – Popolo della Libertà – 18 Ottobre 2009
Metti a tarda notte, fuori dall’osteria, giù per il vicolo, tra un rutto e un fiasco svuotato…Metti tre, quattro brutti ceffi che assuefatti dall’alcol ridono, scherzano, fanno baccano…Metti che a qualcuno di loro per poca lucidità a causa del vino gli esca detto a fine serata di fronte ai compagni di gioco di aver barato poco prima alle carte …E nasce l’azzuffata…
Tutto sarebbe nella norma.
Ma se ad una pubblica conferenza il “super-ministro” dell’Economia, il campione dell’ideologia liberista e liberale, accanito sostenitore del Thatcherismo all’inglese, quello che per quindici anni ci ha raccontato il mito dell’America, la favola del “turbo-capitalismo”, il sogno della finanza creativa e la leggenda del lavoro flessibile, atipico, interinale, rivela di essere a favore del “posto fisso” come base di stabilità sociale, citando pure più volte l’enciclica "Caritas in veritate" di Papa Ratzinger, si cade addirittura nel grottesco. Anzi no, nel tetro più buio. Più nero di quello della strada dell’osteria.
“La variabilità del posto di lavoro, l’incertezza, la mutabilità per alcuni sono un valore in sé, per me onestamente no. Un lavoro fisso, è la base per impostare vita, lavoro e famiglia, almeno nella nostra società. Altre (riferendosi ovviamente agli Stati Uniti), hanno una cifra di mobilità diversa. Ma proprio nei Paesi dove prevale la mobilità è impossibile costruire un welfare che garantisce sanità, scuola e pensioni, di cui la crisi, ha mostrato l’utilità.”
Parole sue. Anche se nessuno gliene affiderebbe la paternità.
Colui che, per quindici anni, con qualche fugace parentesi, ha dettato la linea economica del nostro paese improntata al liberalismo più sfrenato. Quello stesso signore che, con disinvoltura e cinismo, ha smantellato l’impianto garantista del diritto del lavoro italiano, varando nel duemilauno la legge che ha istituzionalizzato il lavoro a tempo determinato. Quello che, sempre nel duemilauno, ha rimosso tutti gli ostacoli normativi al ricorso di lavori atipici. Colui che, nel duemilatre, ha elasticizzato la disciplina del part-time e del lavoro interinale, istituendo il contratto di inserimento. Ed infine che, solo dieci giorni fa, pare abbia acconsentito al licenziamento di centocinquantamila precari della scuola, senza battere ciglio. Ora la stessa persona avrebbe di colpo ruotato il timone ed impartirebbe lezioni di statalismo filo-cattolicista o addirittura dottrine sindacali.
“Parla come se fosse un nostro iscritto. Ma, forse a lui non fa piacere” commenta Angeletti, segretario della UIL.
“Oggi il problema è superare l’idea distorta di flessibilità”, cauto e poco comprensibile Bonanni, segretario della CISL.
“Chiedete un commento sul tema a Confindustria”, spara un laconico Epifani della CGIL.
“Sposa in pieno le nostre idee. L’auspicio è che questa convinzione possa tradursi in un’azione di governo”, Renata Polverini dell’UGL.
Gradimenti al discorso del ministro arrivano dalla Confcommercio per bocca del presidente Carlo Sangalli: “In Italia, il posto di lavoro fisso è un riferimento importante per poter progettare un percorso di vita”. Accortosi infatti che la popolazione consuma sempre meno in quanto ridotta all’osso da contratti di lavoro osceni e paghe da mendicanza, forse ci ripensa, e cambia rotta in stile Tremonti. Nessun accenno a quanti precari esistono proprio in tale settore. Dove negli ultimi anni sono state sperimentate tutte le nuove politiche riducendo il dipendente alla stregua di un pupazzino di gomma, usa e getta.
Pierluigi Bersani del PD: “sarebbe il caso che Tremonti venisse a chiarire il suo pensiero domani in Parlamento, dove si parlerà dei cosiddetti precari della scuola. Il posto fisso lo intende a casa o al lavoro?”
I precari nel nostro paese sfortunatamente non sono solo i centocinquantamila del comparto scuola che vengono continuamente sventolati ai mezzi di stampa forse per ragioni elettorali, bensì oltre tre milioni e mezzo. I “cittadini con la data di scadenza” sarebbero il cinque percento della popolazione, con pensionati e minorenni compresi.
Una bella fetta della nazione che sicuramente non si diverte alle pagliacciate politiche del “Belpaese”.
Fonti:
-Stampa radiotelevisiva e cartacea nazionale
Metti a tarda notte, fuori dall’osteria, giù per il vicolo, tra un rutto e un fiasco svuotato…Metti tre, quattro brutti ceffi che assuefatti dall’alcol ridono, scherzano, fanno baccano…Metti che a qualcuno di loro per poca lucidità a causa del vino gli esca detto a fine serata di fronte ai compagni di gioco di aver barato poco prima alle carte …E nasce l’azzuffata…
Tutto sarebbe nella norma.
Ma se ad una pubblica conferenza il “super-ministro” dell’Economia, il campione dell’ideologia liberista e liberale, accanito sostenitore del Thatcherismo all’inglese, quello che per quindici anni ci ha raccontato il mito dell’America, la favola del “turbo-capitalismo”, il sogno della finanza creativa e la leggenda del lavoro flessibile, atipico, interinale, rivela di essere a favore del “posto fisso” come base di stabilità sociale, citando pure più volte l’enciclica "Caritas in veritate" di Papa Ratzinger, si cade addirittura nel grottesco. Anzi no, nel tetro più buio. Più nero di quello della strada dell’osteria.
“La variabilità del posto di lavoro, l’incertezza, la mutabilità per alcuni sono un valore in sé, per me onestamente no. Un lavoro fisso, è la base per impostare vita, lavoro e famiglia, almeno nella nostra società. Altre (riferendosi ovviamente agli Stati Uniti), hanno una cifra di mobilità diversa. Ma proprio nei Paesi dove prevale la mobilità è impossibile costruire un welfare che garantisce sanità, scuola e pensioni, di cui la crisi, ha mostrato l’utilità.”
Parole sue. Anche se nessuno gliene affiderebbe la paternità.
Colui che, per quindici anni, con qualche fugace parentesi, ha dettato la linea economica del nostro paese improntata al liberalismo più sfrenato. Quello stesso signore che, con disinvoltura e cinismo, ha smantellato l’impianto garantista del diritto del lavoro italiano, varando nel duemilauno la legge che ha istituzionalizzato il lavoro a tempo determinato. Quello che, sempre nel duemilauno, ha rimosso tutti gli ostacoli normativi al ricorso di lavori atipici. Colui che, nel duemilatre, ha elasticizzato la disciplina del part-time e del lavoro interinale, istituendo il contratto di inserimento. Ed infine che, solo dieci giorni fa, pare abbia acconsentito al licenziamento di centocinquantamila precari della scuola, senza battere ciglio. Ora la stessa persona avrebbe di colpo ruotato il timone ed impartirebbe lezioni di statalismo filo-cattolicista o addirittura dottrine sindacali.
“Parla come se fosse un nostro iscritto. Ma, forse a lui non fa piacere” commenta Angeletti, segretario della UIL.
“Oggi il problema è superare l’idea distorta di flessibilità”, cauto e poco comprensibile Bonanni, segretario della CISL.
“Chiedete un commento sul tema a Confindustria”, spara un laconico Epifani della CGIL.
“Sposa in pieno le nostre idee. L’auspicio è che questa convinzione possa tradursi in un’azione di governo”, Renata Polverini dell’UGL.
Gradimenti al discorso del ministro arrivano dalla Confcommercio per bocca del presidente Carlo Sangalli: “In Italia, il posto di lavoro fisso è un riferimento importante per poter progettare un percorso di vita”. Accortosi infatti che la popolazione consuma sempre meno in quanto ridotta all’osso da contratti di lavoro osceni e paghe da mendicanza, forse ci ripensa, e cambia rotta in stile Tremonti. Nessun accenno a quanti precari esistono proprio in tale settore. Dove negli ultimi anni sono state sperimentate tutte le nuove politiche riducendo il dipendente alla stregua di un pupazzino di gomma, usa e getta.
Pierluigi Bersani del PD: “sarebbe il caso che Tremonti venisse a chiarire il suo pensiero domani in Parlamento, dove si parlerà dei cosiddetti precari della scuola. Il posto fisso lo intende a casa o al lavoro?”
I precari nel nostro paese sfortunatamente non sono solo i centocinquantamila del comparto scuola che vengono continuamente sventolati ai mezzi di stampa forse per ragioni elettorali, bensì oltre tre milioni e mezzo. I “cittadini con la data di scadenza” sarebbero il cinque percento della popolazione, con pensionati e minorenni compresi.
Una bella fetta della nazione che sicuramente non si diverte alle pagliacciate politiche del “Belpaese”.
Fonti:
-Stampa radiotelevisiva e cartacea nazionale