venerdì 9 ottobre 2009

FUORI PROGRAMMA 19 - Signori, l'assurdo è servito!

Prendere un caffè al bar, mangiare un primo piatto al ristorante,…sono gesti più che consueti nella vita quotidiana di tutti. Ma per chi somministra alimenti e bevande alla clientela stanno diventando la componente essenziale di spaventose crisi di nervi. Specialmente se si parla di lavoratori dipendenti.


Nuove normative spuntano nel settore ristorativo e dei bar. Sembra infatti che alcune associazioni di categoria stiano organizzando già dei seminari per i propri associati al fine di divulgare le ultimissime disposizioni da seguire nei locali, le responsabilità, le sanzioni concernenti e soprattutto le raccomandazioni proprio per evitarle. Pare non manchino pure gli avvisi circa una nuova ondata di controlli.
Vediamo dunque quali sono alcune di queste importanti novità rivoluzionarie:

-sarà tassativamente vietato tenere penne nel taschino della camicia. Si potranno invece collocare nelle “parti basse”, ovvero nelle sacche dei pantaloni, gonne o parananze.

-non si potranno trovare più persone riunite in uno stesso punto di vitale importanza per le attività connesse al lavoro (esempio: tre baristi che scherzano un momento vicini lungo il corridoio dietro il bancone, oppure, cinque camerieri che attendono chiacchierando sulla soglia della porta tra sala da pranzo e cucina la consumazione della portata servita ai loro clienti)

Ma realtà è ben diversa dal problema “penne nel taschino”.
Chi lavora da dipendente in esercizi dove vengono somministrati alimenti e bevande assiste quotidianamente a violazioni delle più basilari norme igieniche. Alcuni esempi? La manipolazione dei cibi senza l’uso di guanti protettivi, il mancato rispetto delle procedure legate alla cosiddetta “catena del freddo” (congelamento/surgelamento), il riciclo di alimenti rimanenti nei piatti già somministrati alla clientela.
Il risvolto umano-professionale poi è sicuramente alquanto confortante. Naturalmente mai nessun riferimento alla condizione del barista o del cameriere dipendente italiano. Mentre i colleghi europei dei paesi maggiori guadagnano duemila Euro mensili, i nostri si devono accontentare esattamente della metà, se va bene, e di qualche avanzo di cucina. Sono poi da ritenersi fortunati coloro i quali hanno un regolare contratto di lavoro e devono presentarsi per il ritiro dello stipendio una volta sola di ogni mese. Per tutti gli altri, guai a chi apre bocca. La porta è sempre aperta…
Chi somministra alimenti e bevande in questa nazione deve prima di tutto compatire un popolo di incontentabili, perennemente insoddisfatti, prepotenti, che richiedono uno sforzo di energie e nervi incomparabile rispetto ad altre parti. Non è facile trovarsi di fronte ad una clientela generalmente indecisa su cosa consumare che prevede infinite varianti ad ogni richiesta. All’estero ci sono meno vizi e meno pretese. Ecco perché quando uno straniero entra in un locale italiano lo fa con la stessa circospezione di un visitatore di museo d’arte…perché si tratta di una esperienza unica. Come è unico vedere chi pretende con una certa convinzione il caffè al vetro e capire se è lui il genio ed il resto del mondo tutto imbecille che lo beve in tazza di porcellana.
Di fronte a questo scenario è facile comprendere perché c’è un’esponenziale richiesta di lavoro all’estero. Alcuni mesi fa, in una puntata della trasmissione Racconti di Vita di Giovanni Anversa (RaiTre) venne intervistato un ristoratore siciliano a Madrid. Quando il cronista gli domandò quanti ragazzi italiani cercano lavoro nel suo locale, si spostò verso la cassa e sfoggiò una trentina di curriculum lasciati da suoi connazionali in una sola settimana.

A questo punto possiamo tranquillamente affermare che mai è stata azzeccata come in questo caso l’espressione “siamo alla frutta”.